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25 Ottobre 2008
L’invenzione della razza. Le ambigue basi biologiche che hanno influenzato la storia

A volte la scienza influenza la storia e non sempre ciò avviene nel modo più positivo. A proposito di razze umane, per esempio, gli scienziati hanno mantenuto in passato un comportamento piuttosto ambiguo e slegato dalla realtà biologica. Ne hanno parlato venerdì 24 ottobre al Festival della Scienza il genetista Guido Barbujani e lo storico Francesco Cassata, introdotti da Marco Cattaneo, fisico e giornalista scientifico, direttore di Le Scienze. «Quello delle razze umane è un argomento eticamente e umanamente sensibile, tornato alla ribalta nei giorni scorsi con la proposta del censimento della popolazione rom e della creazione di classi differenziali per studenti stranieri», ha spiegato Cattaneo. «Si tratta di un concetto che ha già fatto numerosi danni, ma per la scienza la razza non esiste».

Non sempre però è stato così. Il 5 agosto 1938 venne pubblicato il primo numero di La difesa della razza, rivista-icona del fascismo diretta da Telesio Interlandi. «Sulla prima copertina, l’immagine del gladio fascista separava la fotografia di un doriforo greco da quella di una donna africana», ha spiegato Francesco Cassata. «All’interno compariva il Manifesto della razza, firmato da Mussolini e da un gruppo di scienziati e professori universitari. Negli articoli prevalevano la paura del meticciato e la rappresentazione razzista dell’ebreo, che spesso veniva raffigurato sotto forma di animale. L’ebreo era visto come pericoloso, soprattutto perché concepito come una minaccia nascosta, che poteva anche contagiare gli ariani: da qui la caricatura del “mezzo ebreo”, da cui la razza ariana doveva assolutamente purificarsi».

«In effetti la scienza è stata razzista», ha ammesso Guido Barbujani, «cavalcando un pregiudizio - la distinzione tra “noi e gli altri” – che ha le sue radici nell’antica Grecia con la separazione netta tra i greci e i barbari. Siamo diversi, questo è innegabile, ed è proprio perché siamo così diversi che gli scienziati non sono mai riusciti a definire delle categorie razziali precise. E’ vero che i tipi umani sono riconoscibili, ma anche al loro interno le differenze sono moltissime. Ci si può mettere d’accordo sulle tipologie di base, ma andando più a fondo le cose si complicano. I cataloghi razziali sono contrastanti. Linneo distinse quattro razze, ma in seguito c’è chi ne ha trovate addirittura centosette». E troppe razze significa niente razze: «meno dell’8% delle varianti genetiche umane sono presenti in un solo continente e in oltre metà dei casi questo continente è l’Africa. Possiamo dunque dire che i nostri genomi sono specificamente africani, oppure genericamente umani. Se proprio deve essere considerata come specie, allora l’umanità è una specie africana».

Una conclusione che ci riporta ai giorni nostri e a un personaggio di cui si parla molto sui giornali e in tv proprio per il colore della pelle: Barack Obama. Di che razza è il candidato alla Casa Bianca? «Figlio di una donna del Kansas e di un keniota, è senz’altro meticcio», ha concluso Barbujani. «Eppure viene socialmente classificato nella comunità dei neri». A conferma di come le razze umane forse esistono, sì, ma solo nel nostro cervello.

Genova, 25 ottobre 2008




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