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3 novembre 2008 Catherine Vidal: Il cervello ha un sesso?
«Quest’anno, più che parlare del ruolo della donna nella scienza, abbiamo voluto invitare direttamente molte scienziate a parlare delle loro ricerche: il 50% delle lectio magistralis del Festival sono tenute da donne e ne siamo contenti». Manuela Arata, presidente del Festival della Scienza, introduce così la relazione di Catherine Vidal, domenica 2 novembre, presso la Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale.
Neurobiologa all’Institut Pasteur di Parigi, Catherine Vidal si occupa dei meccanismi psicologici del dolore, del ruolo della corteccia cerebrale nella memoria e delle infezioni al cervello causate dal virus dell'AIDS, ma il tema con cui ha conquistato il pubblico del Festival è stato essenzialmente la risposta a uno dei più antichi luoghi comuni della scienza della mente umana: esistono sostanziali diversità tra il cervello maschile e quello femminile?
La scienziata risponde attraverso un excursus che ripercorre lo sviluppo scientifico in questo campo. Nel XIX secolo, per esempio, la craniometria era tesa a dimostrare la relazione fra intelligenza e dimensioni del cranio. In base a queste misurazioni, il cervello maschile sarebbe stato più sviluppato di quello femminile, quello dei bianchi maggiore rispetto a quello dei neri, e quello degli imprenditori superiore in confronto a quello degli operai. «Ma le teorie per cui un cervello più piccolo implicherebbe un’intelligenza meno sviluppata, non hanno fondamento. Non conta la quantità, bensì la qualità dei collegamenti fra i neuroni», spiega Vidal, fornendo anche qualche dato curioso riguardo al peso ridotto del cervello di alcuni noti personaggi come lo scrittore e drammaturgo Ivan Tourgueniev (2 kg), lo scienziato Albert Einstein (1,250 kg) o lo scrittore Anatole France (appena 1 kg).
«Il cervello ha un sesso? Rispondere non è così semplice, perché il cervello non è un organo come gli altri. Dietro questa domanda c’è un interrogativo più radicale su ciò che è innato e ciò che è acquisito negli esseri umani». La risposta potrebbe essere duplice: grazie alle tecnologie della risonanza magnetica, negli ultimi anni è stato dimostrato che a livello biologico non esiste una diversità fra cervello maschile e femminile, se non per funzioni legate alla riproduzione.
Spesso i luoghi comuni ci presentano donne incapaci di leggere cartine geografiche o uomini più portati per la matematica: «In uno studio è stato dimostrato come i bambini maschi, grazie al gioco all’aperto o al calcio, raggiungano un maggiore sviluppo nella sfera pubblica, per cui sarebbero poi maggiormente in grado di orientarsi nello spazio, mentre le bambine, stando più spesso in casa, svilupperebbero di più aspetti come le emozioni o il linguaggio», spiega la scienziata, sottolineando come la diversa educazione tra ragazze e ragazzi possa influire sulle divergenze nel funzionamento cerebrale, differenze però non innate e comunque modificabili.
Quello che viene a delinearsi è un cervello plastico, in cui la corteccia cerebrale è in grado di inspessirsi in base alle attività svolte, per poi tornare come prima. «Un caso particolare è stato quello di un uomo di 44 anni, con due figli e una vita normale, nato con un’idrocefalia, ossia un accumulo di liquido nella scatola cranica. Il drenaggio si è ostruito e la pressione del liquido ha spinto il cervello verso le pareti del cranio, ma ciò non ha avuto conseguenze sulle capacità del soggetto, dimostrando che il cervello è dotato di grande plasticità».
Ma le idee preconcette sulle differenze biologiche tra i sessi sono difficili da superare, come dimostrano i molti luoghi comuni che talvolta riemergono ancora oggi. Emblematico il caso, citato da Vidal, dell’ex-presidente della Harvard University, costretto a dare le dimissioni dopo aver affermato che la scarsa rappresentatività delle donne in materie scientifiche è dovuta a un’incapacità innata a riuscire in questi settori. «Il risultato? Venne immediatamente sostituito da una donna».
Genova, 3 novembre 2008
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