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3 novembre 2008 Jonah Lehrer: Proust era un neuroscienziato
Quando l'indagine della mente è arte. Se ne è parlato domenica 2 novembre, presso la Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale nell’ambito del Festival della Scienza, in occasione della lectio magistralis del giovane neuroscienziato americano Jonah Lehrer, autore del fortunato volume Proust era un neuroscienziato. «Lehrer non dimostra solo che alcuni letterati hanno anticipato il ruolo della neuroscienza, ma anche che nella neuroscienza il lavoro del letterato può essere una rappresentazione dell’esperienza umana», anticipa nell’introduzione della lectio Giorgio Vallortigara, professore presso la Facoltà di Scienze Cognitive dell’Università di Trento.
Dunque, in che senso Proust era un neuroscienziato? «Leggendo Proust mi sono accorto che anticipava molte cose sulla memoria, che verranno poi approfondite dalla neuroscienza», spiega Lehrer. «Nel celebre episodio della madeleine vediamo come il sapore e l’odore facciano rivivere nel protagonista i ricordi dell’infanzia, anticipando l’idea delle connessioni cerebrali legate alle percezioni sensoriali. Ma Proust avverte anche il lettore sulla non affidabilità dei ricordi: l’atto del ricordare modifica infatti il ricordo stesso».
Non solo la letteratura si presta a questa chiave di lettura. Anche cucina, arti figurative, musica hanno spesso anticipato scoperte in campo neuroscientifico e biologico, «perché scienza e arte sono due modi diversi di farsi le stesse domande». Prendiamo il più noto chef del XX secolo, Georges Auguste Escoffier, inventore della cucina francese moderna e codificatore di ricette come il brodo di carne o del metodo della deglassazione: cosa c’è alla base di ricette così gradevoli? «Per ciò che riguarda il gusto, la tradizione scientifica ha sempre parlato di quattro tipologie: dolce, aspro, salato, amaro», spiega Lehrer. «Quando il chimico giapponese Kikunae Ikeda introdusse il concetto di umami, “delizioso”, la quinta sensazione che la chimica ha individuato nell’acido glutammico, la scienza del tempo lo ignorò, mentre le comunità culinarie furono da subito più reattive».
Consideriamo ora la musica: «Da Platone e Pitagora la musica è un insieme di belle note, una melodia, per cui amiamo l’armonia e disprezziamo la dissonanza. Stravinskij sovvertì questa teoria della melodia e per questo la Sagra della Primavera, alla sua prima nel 1913, scandalizzò il pubblico». Lehrer spiega come reagisce il nostro cervello ascoltando un suono: «Le cellule acustiche inviano segnali che il cervello identifica nel loro ordine, riconoscendo gruppi di segnali, pattern melodici». Stravinskij abbandonò i pattern, gli schemi tradizionali, in favore di alcuni nuovi, non riconoscibili, ai quali i cervelli dell’epoca non erano abituati. «Nove mesi dopo la prima, però, Stravinskij venne definito un genio e la Sagra della Primavera un capolavoro: cos’era successo? Quando le cellule ascoltano un suono inaudito si paralizzano e per il cervello è una sensazione sgradevole. Ma se a queste cellule si fa riascoltare la stessa musica, iniziano a riconoscerne i pattern. Per capire quello che provò il pubblico alla prima della Sagra della Primavera, possiamo ascoltare Girl Talk, una delle ultime canzoni del rapper americano Kanye West. In questo pezzo, il cervello non individua pattern, non lo capisce, la sensazione è dunque sgradevole. Tra qualche anno, però, forse ci abitueremo anche a quello».
Genova, 3 novembre 2008
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