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2 novembre 2008
Massimo Livi Bacci: La distruzione degli Indios d'America

«Un paese come l’Italia, che ha dato e ricevuto tanto dall’America, sa però molto poco della storia di quel continente». Ha esordito così Massimo Livi Bacci, protagonista sabato 1 novembre presso la Sala Polivalente San Salvatore di una lectio magistralis nell’ambito del Festival della Scienza. Professore di Demografia all’Università di Firenze, presidente onorario della International Population Union e senatore dal 2006, Livi Bacci ha affrontato il tema del suo libro Conquista. La distruzione degli indios americani.

Dopo la parabola dei primi tempi della conquista europea delle Americhe, ossia la storia che va dalla scoperta di Cristoforo Colombo nel 1492, il suo ritorno glorioso in Spagna e la sua amministrazione sugli indios fino al 1500 («Colombo fu un abilissimo navigatore ma un pessimo amministratore», sottolinea il demografo), Livi Bacci si concentra sui tre paradigmi interpretativi intorno al catastrofico declino della popolazione degli indios americani, avvenuto nel secolo successivo al primo viaggio di Colombo.

Il primo riconosce la causa della catastrofe nella crudeltà dei conquistadores, la cosiddetta leggenda nera della conquista, già individuabile nei testi contemporanei dell’epoca: «Bartolomé de Las Casas, colono e religioso domenicano, grande paladino degli indios, in Breve storia della distruzione delle Indie del 1552, attacca con l’approccio del missionario la crudeltà spagnola sulla popolazione indigena».

Risale invece al secolo scorso un altro paradigma, per cui la catastrofe sarebbe stata originata dalla trasmissione di virus euroasiatici - in particolare quello del vaiolo - che non esistevano tra le popolazioni americane, le quali quindi soffrirono spaventose epidemie: «Si tratta di un paradigma che spiega solo parzialmente la devastazione. I sopravvissuti a un’epidemia come il vaiolo, infatti, sono immuni. In un’epidemia successiva sarebbero suscettibili solo i nuovi nati: la sola successione di epidemie non poteva determinare la sparizione di una popolazione», spiega Livi Bacci.

Il demografo introduce quindi un ultimo paradigma - denominato conservatore-eclettico - che già testimoni dell’epoca (conquistadores, religiosi, funzionari reali, mercanti e viaggiatori) individuavano, descrivendo una pluralità di cause del tracollo. La distruzione degli indios si è verificata in modo diversificato a seconda del territorio: «Nelle zone dove si cercava l’oro veniva mobilitata la popolazione maschile, inclusa quella indios: gli indios sono impiegati per cercare l’oro, non lavorano più i campi e, dovendosi spostare, sono sensibili ai cambiamenti climatici, rendendosi così più esposti a malattie. In alcune zone c’è stato un fortissimo spopolamento, ancora prima dell’epidemia di vaiolo». Le aree costiere furono invece colpite da malaria e si spopolarono velocemente, mentre «le popolazioni degli altipiani, socialmente strutturate, ressero maggiormente l’impatto della conquista: le loro culture vengono sottomesse ma reggono, tanto che le tradizioni religiose durano ancora oggi».

Altre zone, come Panama e Uruguay, subirono epidemie ma anche espansioni di popolazione. «Si tratta quindi di una serie complessa di fattori: epidemie, guerre, ma anche la dislocazione degli indios rispetto ai villaggi d’origine, che li sottrae al loro habitat naturale indebolendoli. Il vaiolo non fu l’unico colpevole della catastrofe: bisogna restituire alla storia il suo ruolo di verifica delle cause».

Genova, 2 novembre 2008





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