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29 ottobre 2008
Matteo Ricci. Un gesuita alla corte dei Ming

A cavallo tra Cinque e Seicento, un uomo sperimentò in prima persona l’incontro con il diverso, lo scambio culturale, le difficoltà e le gioie del confronto con un mondo lontano e sconosciuto, in un momento storico in cui la scienza stava muovendo i primi passi. Nella lettura scenica Matteo Ricci. Un gesuita alla corte dei Ming - tratta dall’omonimo libro di Michela Fontana - Ruggero Cara racconta la storia di quest’uomo. Tanti giovani e studenti hanno assistito alla prima dello spettacolo, giovedì 28 ottobre, una coproduzione di Promo Music e Festival della Scienza, in replica anche mercoledì 29 ottobre al Teatro Duse.

La voce di Cara è accompagnata da proiezioni di antiche carte geografiche, disegni di architetture rinascimentali, ideogrammi cinesi che fluttuano al suono della musica distorta e orientaleggiante di Valentino Corvino. Partendo dalla formazione di gesuita del giovane Matteo Ricci, Cara ci riporta alla Roma della Controriforma, alla messa all’indice dei libri proibiti dalla Chiesa, alle guerre tra Stati per la supremazia europea, ma anche alle scoperte geografiche, alla nascita del pensiero scientifico e della convinzione - sintetizzata nel pensiero di Keplero - che attraverso la matematica e la geometria si possa arrivare a Dio.

Da Lisbona, circumnavigando l’Africa, Ricci arriva a Goa, dove si ferma per quattro anni, prima di raggiungere Macao e tentare l’ingresso in Cina. Era dai tempi di Marco Polo che nessun europeo riusciva a varcare il confine dell’Impero e a farsi concedere il diritto di residenza. Il “gesuita letterato”, ribattezzato Li Matou, segue i precetti del confratello Alessandro Valignano e calibra la sua missione di evangelizzazione sulla cultura del Paese in cui viene ospitato. Impara la lingua cinese, la cultura, la storia, la filosofia, studia Confucio - che definisce “un altro Seneca” - per essere in grado di comunicare coi funzionari cinesi, tutti uomini di lettere come lui. «Ricci osserva e viene osservato, studia e viene studiato», dice Cara.

In questo senso Ricci è un perfetto esempio di integrazione culturale. Nonostante le diffidenze di certi mandarini che temevano favorisse l’ingresso dei portoghesi in Cina e di alcuni monaci buddhisti con cui non riusciva a dialogare, Li Matou diventa parte integrante della corte dell’Imperatore. E dopo aver imparato tanto dai cinesi, Ricci si fa a sua volta maestro, divulgando le maggiori scoperte scientifiche occidentali: i concetti tolemaici, ancora validi, la nozione della rotondità del globo, ma soprattutto la geometria euclidea. In un lavoro ciclopico, portato a termine insieme a dottor Paolo, il mandarino convertito al cristianesimo, Ricci traduce gli Elementi del matematico greco in cinese. Questa traduzione sarà la sua definitiva consacrazione anche tra i mandarini più scettici.

Genova, 29 ottobre 2008




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