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29 ottobre 2008 David Dobbs: Il buco nel mio ippocampo
«Nel mio ippocampo c’è un buco, grande più o meno come una chiave. Quando non riesco a trovare le chiavi di casa penso sempre che siano finite lì dentro». David Dobbs, scrittore e giornalista americano, collaboratore di testate come New York Times, Wired e Scientific American Mind, affronta con ironia l’anomalia del suo cervello. Di più: ne ha fatto un oggetto di studio. Martedì 28 ottobre, nella sua lectio magistralis al Festival della Scienza, ha raccontato l’episodio grazie al quale ha scoperto il problema.
«Una mattina, uscendo di casa, mi sono accorto di non ricordare come arrivare all’asilo dei miei figli. Non riuscivo a visualizzare nella mia testa un percorso breve, che conoscevo molto bene», ha spiegato Dobbs. «Allora mi sono messo in macchina e ho cominciato a guidare: se avessi dovuto indicare a qualcuno la strada da prendere non sarei stato in grado di farlo, ma man mano che andavo avanti sceglievo le svolte giuste. Alla fine sono arrivato all’asilo, solo che non avrei saputo dire come avevo fatto».
È l’inizio di un’affascinante ricerca nel campo delle neuroscienze, che Dobbs intraprende per capire cosa gli è successo. Dell’ippocampo il giornalista si era già occupato trattando il tema della depressione: «nelle persone depresse può ridursi fino al 15%: per questo spesso fanno fatica a pensare, ma io quel mattino non ero depresso».
La depressione, dunque, non può spiegare l’amnesia.
In questa nuova indagine, il giornalista scopre la centralità dell’ippocampo anche per l’orientamento e la memoria a lungo termine. Alcune teorie vedono questa parte di cervello come un indice di memoria. Una persona che presenti danni all’ippocampo avrebbe perciò difficoltà a formare o mantenere nuovi ricordi. Altri studi lo considerano una mappa cognitiva: un insieme di cellule in grado di creare memoria dalle esperienze legandole allo spazio. «Portando all’estremo la teoria della mappa cognitiva», secondo Dobbs, «si potrebbe arrivare a dire che ciò che capiamo della vita è dato da come capiamo lo spazio».
«Secondo Matt Wilson, ricercatore del Massachusetts Institute of Technology, la mia amnesia è dovuta a un difetto di comunicazione tra aree del cervello, per via dello stress o della stanchezza». Ma come ha fatto dunque Dobbs a trovare la strada? «Wilson sostiene che quando si conosce molto bene un percorso, non c’è necessità di farne affiorare la memoria a livello cosciente, è sufficiente che sia depositata a qualche livello più basso della corteccia». Una spiegazione che non convince del tutto Dobbs, il quale accenna a una ulteriore teoria per cui la memoria sarebbe legata non ai luoghi ma agli odori. Alla fine lascia il pubblico nel dubbio, senza svelare quale sia la vera ragione della sua amnesia. Ma non poteva essere altrimenti, «perché anch’io sono combattuto».
Genova, 29 ottobre 2008
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