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26 Ottobre 2008 Maurizio Ferraris: Altre vite e fidanzate automatiche
«Preparatevi: occuparsi di arte è sempre un’esperienza frustrante». Con questa premessa lievemente minacciosa, Maurizio Ferraris, docente di Filosofia Teoretica Ordinaria all’Università di Torino, ha aperto la sua conferenza sabato 25 ottobre nel Salone del Minor Consiglio di Palazzo Ducale, nella terza giornata del Festival della Scienza 2008.
Stimolato da una frase del filosofo statunitense William James («l’opera d’arte è una fidanzata automatica»), Ferraris ha sviluppato il suo ragionamento partendo da due quesiti: l’opera d’arte può davvero essere considerata in questo modo? E i sentimenti che da buona “fidanzata” è in grado di suscitare nelle persone sono reali o fittizi?
Il filosofo torinese ha innanzitutto definito la sua personale concezione di opera d’arte. Prima condizione per considerare tale un oggetto è la sua fisicità: «le opere sono articoli da emporio di modeste dimensioni» ha spiegato il filosofo. L’arte è dunque soprattutto una cosa (anche nel caso di un oggetto non pensato originariamente come artistico), deve essere inserita nel tempo e nello spazio (un teorema matematico, per esempio non si può considerare opera d’arte), avere un autore ed essere visibile a colpo d’occhio («non sono opere d’arte una statua lunga 200 km o un romanzo di un milione di pagine»).
Altra condizione è la funzione sociale di un’opera d’arte: «deve essere una traccia stabile e pubblica», qualcosa che provoca accidentalmente conoscenza e necessariamente sentimenti. Per questo «le opere d’arte sono cose che fingono di essere persone, e dunque “fidanzate automatiche”».
Tuttavia le opere d’arte suscitano sentimenti diversi da quelli che possono essere generati dalle persone: «non potrò mai dire di essere amico di Anna Karenina», ha chiarito con un esempio Ferraris. Si tratta dunque di sentimenti veri o falsi? Quando si ride o si piange per un’opera d’arte, lo si fa veramente? L’opinione del filosofo è netta: «se migliaia hanno pianto davvero per la morte di Lady D., perché non sarebbe vero il pianto per Anna Karenina?». Sono reali le lacrime causate dalle cipolle, dai ricordi, dalla felicità, quindi anche il pianto che deriva dall’opera d’arte è da considerarsi vero. Un discorso che vale anche per il riso: «ridiamo davvero per le commedie e le barzellette, indipendentemente dal fatto che le storie in questione siano reali o inventate».
Genova, 26 ottobre 2008
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